giovedì 28 settembre 2017

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Dove nascono le storie?
Quando racconto la storia di Ambrogina zanzarina sottozero, mi rivolgono sempre questa domanda. Me lo chiedono i bambini nelle scuole e dove mi capita di presentare il libro.
A me piace dire che le storie nascono nella testa di coloro che non si accontentano di guardare, ma che osservano il mondo con occhi speciali, quelli dell’immaginazione. I bambini mi seguono con attenzione e io inizio a raccontare come è nata la favola. 
Poi, la seconda domanda:  
Quando scrivi un’altra storia? 
E lì, mi spiazzano.


Il fatto d’aver pubblicato una storia non significa che debba farne altre. Ma come si fa a dire ai bambini che in questo momento non ho tempo di scrivere storie? Loro pensano che chi scrive, faccia solo quello nella vita. Allora spiego che la mia è una decisione temporanea e non dico che non scriverò mai più storie, ma adesso no, perché mi sto dedicando ad altro, ma che prima o poi ritornerò a raccontar loro un’altra favola.

Scrivo ogni giorno. Tanto o poco lo faccio sempre. Scrivo per me, soprattutto.
Scrivere significa stimolare la fantasia, avere la capacità di andare oltre l’osservazione. La mia è una continua ricerca, è il bisogno di concretizzare certe emozioni che, altrimenti, passerebbero inosservate.
Scrivo su quaderni, su fogli sparsi, al computer e ho aperto questo blog cinque anni fa.
Il blog non mi fa sentire importante. È nato perché ho capito che scrivere solo per me non mi aiutava a crescere.
È come leggere un libro fra sé e narrarlo ad alta voce. C’è una bella differenza. 
Leggendo ad alta voce si presta più attenzione al testo. Vengono rispettate le pause dettate dalla punteggiatura e il tono della voce subisce gli alti e bassi scanditi dal ritmo della scrittura.  

Questo blog è la mia palestra dove mi alleno con impegno.

C’è a chi piace il mio modo di scrivere. Qualcun altro, invece, dice che, nonostante la mia sia una buona scrittura, le idee sono poco accattivanti. E c’è chi non legge mai quel che scrivo, per incompatibilità d’interessi. E io rispetto e ringrazio la sincerità di tutti.
Nei miei post, ammetto che non esista un accadimento da scoop e questo potrebbe abbassare il livello d’interesse. Ma è una cosa voluta. È il taglio che ho deciso di dare perché un blog non è un romanzo e non è una testata giornalistica; il post di un blog, per funzionare, deve essere breve, diretto.

Non scrivo per essere elogiata e nemmeno per contare i like a fine giornata. Non mi interessa entrare in competizione con qualcuno. So che molti scrivono meglio di me. Me ne rendo conto, leggendo qua e là, che ho tanto da imparare.
Se la mia scrittura piace, ne sono felice, ma non mi offendono le critiche; quelle sane, però, quelle che sono motivo di crescita e che danno una maggior forza alla mia realizzazione. Mi sono scontrata con critiche di poco fondamento, dettate  più dal senso di rivalità che dall’opinione stessa; ma col tempo ho imparato a non farmi scalfire e a continuare per la mia strada. Questo è il mio progetto e non quello di altri.

Scrivo perché amo farlo, perché mi fa stare bene, perché la mia è anche una scrittura terapeutica. Mettere nero su bianco un problema, spesso mi fa trovare la soluzione.
Ho scritto tantissime cose che non pubblicherò mai, né qui né da nessun’altra parte. Bisogna saper fare una cernita prima di diffondere un testo, metter dei paletti laddove il confine tra pubblico e privato non è ben definito. Non tutto si può divulgare con la medesima facilità.
Soprattutto, non mi permetterei mai di scrivere qualcosa di cui non sono sicura. Verifico sempre le mie incertezze, mi metto sempre in dubbio.
Questa non è insicurezza, al contrario: è  la ricerca continua per dare valore ai miei contenuti, perché voglio che la mia scrittura sia efficace nel comunicare qualcosa. Magari di poco conto, ma pur sempre di qualità.


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