Di seguito riporto un ritaglio di un articolo pubblicato su TuttoLibri, l’inserto settimanale de La Stampa in edicola sabato 2 marzo 2013.
Titolo: Cercas: “Se vuoi scrivere devi complicarti la vita”
L’autore, Javier Cercas, scrittore, saggista e docente di letteratura spagnola presso l’Università di Gerona, inizia il suo pezzo paragonando la scrittura ad un vetro:
“(…)“Se è pulito, non se ne accorge nessuno, ma, se è sporco, se ne accorgono tutti”. Con la scrittura succede qualcosa di simile: se una frase è ben scritta, nessuno lo nota, o se ne accorge solo chi ha la mania diabolica di scrivere frasi; ma se è scritta male lo notano tutti.”
La similitudine è ben azzeccata, ma è da quanto segue che ne sono rimasta maggiormente colpita.
“(…) Racconta Eric Sòria nel suo ultimo libro, En el curs del temps, che qualche anno fa, quando un giornalista ha chiesto a Marcel Reich-Ranicki cosa era per lui uno scrittore, il temuto guru della critica letteraria tedesca ha risposto: “Qualcuno per cui la scrittura è più difficile che per gli altri”. Mi sembra una risposta eccellente.
Ogni scrittore serio si trova di fronte a un paradosso: più scrive, più facile gli risulta scrivere; ma, quanto più facile gli risulta scrivere, più sospettosa gli risulta la facilità, fino a quando scopre, infine, che è proprio la facilità il peggior nemico del suo lavoro. Quando qualcosa viene al primo tentativo, brutto affare; quando una frase suona troppo letteraria, peggio ancora: la letteratura è precisamente ciò che non suona come letteratura. La scrittura è un mestiere strano. In sostanza consiste nel complicarsi la vita. Per impararlo, bisogna dimenticarlo ogni giorno. (…)”
Pur non ritenendomi una scrittrice provetta, molte volte mi sono trovata davanti al paradosso descritto sopra e che ho sottolineato in rosso.
Quando scrivo è perché ho in testa ben chiaro ciò che voglio dire e metterlo nero su bianco mi viene spontaneo. Non ho un orario preciso, scrivo a qualsiasi ora, spesso anche di notte. Dal momento che scrivo un pezzo, al momento che lo pubblico sul blog, passa però del tempo, a volte anche l’intera giornata, perché mai, dico mai, trovo soddisfacente rileggere quello che ho scritto di getto. Tutta la precedente padronanza, infatti, si trasforma in esitazione e capisco che quello che ho scritto è solo la brutta copia di quel che sarà (Oddio, sono un po’ complicata, vero?)
Pensavo fosse una mia malformazione mentale, un difetto della mia personalità, una specie di fragilità dovuta alla mia mania di mettere sempre in dubbio ciò che penso. Invece non è così, perbacco: capita ed è capitato anche ai migliori scrittori!
Devo dire che sia piuttosto confortante questa cosa: almeno so di non essere sulla soglia della demenza.
Javier Cercas conclude l’articolo con una riflessione sull’importanza di quali saranno le sue ultime parole prima di concludere la sua esistenza, riportando alcuni esempi singolari.
Non sono ancora arrivata a tanto, per il momento mi basta sapere di essere normale…
(Oddio, mi viene un dubbio: non è che questo Cercas sia un po’ pazzo? e quella che pensavo fosse una vera consolazione sia invece la certezza di seguire le sue impronte?… Quindi…tutto quello che ho scritto fino ad ora… è il frutto di tutta una serie di elucubrazioni mentali?…NOOO !!!)
Nessun commento:
Posta un commento