Quando ero piccola non mi piaceva andare all’asilo. Avevo ben altre cose, IO, di cui occuparmi, senza perdere il mio tempo seduta dietro ad un freddo tavolino azzurro ad ascoltare “Le avventure del Signor Bonaventura".
Nessuno, però, si è mai preoccupato, di assecondare quella mia esigenza. Così ogni giorno era la stessa tiritera, da parte mia per convincere la mamma a tenermi a casa, e da parte della mamma a convincermi che ci dovevo andare, inventandosi ogni volta qualcosa di diverso. Certo, dev’essere stato un bell’impegno quello d’investire ogni giorno in una fantasia nuova da raccontarmi, che, poi, sarebbe durata solo il tempo del tragitto verso l’asilo; ma le mamme, si sa, di fantasia ne hanno da vendere…
Non ho dei bellissimi ricordi di quei tre anni, ma è nitido quello in cui spesso guardavo fuori dal finestrone della mia aula e vedevo la gente passare lungo la strada, al di là del giardino, e provavo un senso d’invidia per loro che se ne andavano liberi e tranquilli in giro. Non come me, “rinchiusa” in un asilo che non mi piaceva, ad obbedire ai comandi di una suora un po’ troppo severa per i miei gusti. Non mi piaceva riempire la paginetta del mio quaderno di aste; preferivo colorare con i pennarelloni Jumbo Carioca della mia insegnante. Non mi piaceva nemmeno dormire, con le braccine incrociate sul banco; preferivo rimanere sveglia ad escogitare qualcosa da fare una volta fuori da lì.
Un pomeriggio, durante l’ora del riposino, chiesi di andare al bagno. Nel corridoio incontrai lo zio Mario. Che fortuna, era venuto a salvarmi! Invece si era rotto un tubo dell’acqua ed era venuto a ripararlo (lo zio era l’idraulico del paese). L’ho pregai di riportarmi a casa dalla nonna, ma lui mi ha regalato un bombonino e con un sorriso mi disse: “…un’altra volta…” Anche lo zio Mario era contro di me.
Non tanto tempo fa io e lo zio abbiamo rammentato quell’episodio; anche lui se lo ricordava bene, probabilmente gli avevo fatto tanta tenerezza quella volta!
All’asilo, ci dovevo andare. Non esistevano ragioni al di fuori del morbillo, la rosolia e la varicella, insomma: le malattie "comandate" come le Feste con la "F" maiuscola. Non c'era mal di pancia che tenesse e se qualche volta riuscivo a farla franca, ero costretta a starmene buonina sul divano, ad ascoltare le favole incise sui vecchi dischi a 45 giri, che alla fine sapevo a memoria ed ero io a raccontarle alle bambole (e, comunque, sempre meglio del Signor Bonaventura con il suo premio da 1 milione!)
Una mattina, la nonna Elisa, stanca di ascoltare le mie solite filippiche, consigliò alla mamma di cambiare strada e di passare dal mercato (così tra una distrazione e l’altra io mi sarei svagata...). Porca miseria, che idea! Perché alla nonna non era venuta in mente prima? Adesso sì che si cominciava a ragionare…forse avevano capito che c’era di meglio che mandarmi all’asilo! ...Andiamo al mercato, no?
Ci incamminammo io e la mamma; la mia manina piccola nella sua più grande, e quasi arrivati al mercato mi accorsi che nell’altra mano, la mamma, teneva il mio cestino della merenda che, lì per lì, non ne capii l’utilità, ero anche ingenua eh! (Ai tempi, le suore, passavano solo il primo piatto, a pranzo, e l'acqua del rubinetto da bere, e nel cestino di solito veniva messo un succo di frutta, una banana e “il panino al prosciutto”…i nutrizionisti di oggi denuncerebbero quelle suore e i genitori stessi per quel tipo di alimentazione!)
Attraversammo una parte del mercato senza fermarci a fare la spesa, e anche lì non compresi subito il motivo, forse non avevamo bisogno di niente… Dall’altra parte, però, seconda fila, terzo banchetto, ecco l’omino che vende cappelli, ombrelli e…borse. Mammamia, mi si aprì davanti tutto un mondo nuovo: le borse, tante, bellissime; una poi, era particolarmente adatta a me: in tessuto intrecciato, blu con delle righe bianche, perfetta anche nelle dimensioni: ci stava tutto ciò di cui avevo bisogno, fazzoletto e soldino. La volevo.
Iniziai a tirare la mamma, il dito puntato sulla borsetta e gli occhi sgranati di sorpresa.
“Me la compri?”
“No” (...era normale...)
“Dai, mamma…me la compri?”
“No-o...”
“Uffiiiih, ma a me piace…”
“Non si può.”
Cosa non si può? Io non ho mai ben capito quella negazione del potere…E la mamma più specificatamente aggiunse: “Ci vogliono i soldini” (Ah beh, ora sì che c'era un motivo giustificato).
Io, che avevo il soldino da 50 lire, che sarebbe servito per salire sulla macchinina elettrica, una volta arrivata all’asilo, glielo mostrai e le dissi: “Questo non mi serve più, ne metti uno anche tu e vedi che i soldini li abbiamo?”
Il ragionamento non faceva una piega. Era perfetto e la mamma si dev’essere sentita un po’ disorientata. Passarono dieci minuti di tiritere varie fino a quando mi scappò quel “Dai mamma, ti prometto che…”
Non ebbi il tempo di finire, che la mamma sfoderò la sua carta vincente (come tutte le mamme, anche la mia ne aveva sempre una al momento giusto…)
Non ebbi il tempo di finire, che la mamma sfoderò la sua carta vincente (come tutte le mamme, anche la mia ne aveva sempre una al momento giusto…)
“… vai all’asilo senza storie.”
Ecco... l’aveva detto... Possibile che in tutte le cose saltava sempre fuori quel benedetto asilo? Mi ero bruciata da sola tutte le possibilità di rimanere a casa; quindi patteggiai: o la borsa o la vita.
Naturalmente la borsa... La vita me la ripresi un po’ di anni più tardi.
Quella mattina arrivammo all’ingresso dell’asilo senza troppe lamentele. Avevo ottenuto la mia prima borsettina in cambio della mia libertà. Magicamente il grembiulino si materializzò. La mamma l’aveva messo, ben piegato, in quella borsa della spesa che non aveva ancora riempita al mercato (quella furbona, organizzatissima, eh…!).
E quella mattina segnò anche l’inizio della mia vera passione per le borse...
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