Ci sono persone che s’incontrano solo in certi posti; poi, superata la porta dell’uscita, ritornano nel più completo anonimato.
Un esempio: c’è una persona che incontro unicamente dalla parrucchiera; fuori da lì, non l’ho mai incontrata da nessun altra parte. E dire che vive in un piccolo paese della provincia ed è una donna che non passa inosservata: il suo essere stravagante è così ostentato che urla “Sono qui!”
La prima volta non la vidi. Era all’angolo dello shampoo e ne sentii solo la voce. Avrei detto che si trattasse di mia zia Rina, ma la certezza che fosse passata a miglior vita, mi portò alla realtà: il suo timbro di voce era il medesimo. Quando la misteriosa signora, che stavo idealizzando come zia, mi si parò davanti, con la testa avvolta in un turbante, mi resi conto di quanto quella donna fosse lontana anni-luce dall’assomigliare alla mia ziona.
Bassa e corpulenta, nonostante l’età non più verde, si trucca in modo pesante. In mezzo al viso tondeggiante, con le guance belle piene e vivaci dal fard, primeggia un naso piuttosto largo sottolineato da una bocca altrettanto larga, ma con le labbra sottili che la signora ama mettere in risalto con un vistoso tratto di matita e successiva passata di rossetto color fucsia. Le palpebre, non più ben tese, sono truccate con un ombretto perlato e le sopracciglia, inesistenti, disegnate con la matita nera, come il colore dei capelli che le incorniciano gravemente il viso, a partire dalla frangetta.
Veste sempre attillatissimi leggins (o fuseaux, come dice lei…) abbinati a maglie troppo corte, che mettono in risalto un punto-vita inesistente e, ai piedi, l’ho sempre vista calzare degli stivaletti con le zeppe.
Mi ricorda Miss Piggy, del Muppet Show.
Descritta in questo modo, potrebbe dare l’impressione di una persona con qualche vite da registrare. Ma non è così.
È una donna di notevole cultura. Usa correttamente i verbi, coniugandoli senza errori, sia quando parla in lingua nazionale che in quella della festa (i novaresi chiamano così il proprio dialetto…)
Il tema dei suoi discorsi è sempre interessante, mai banale. Non un pettegolezzo, non una diceria, non una domanda fuori posto, imbarazzante o indiscreta. La conversazione, invece, è piacevole, divertente e profonda a seconda dei casi. Penso, infatti, che sia una ex insegnante. O forse una dirigente d’azienda. Magari un medico. Un avvocato…
Non lo so e non mi interessa saperlo. Penso che, qualunque sia la sua condizione, la Signora Stravagante sia, prima di tutto, una persona, punto. Ha una storia che racconta a pezzetti, dalla quale trapela l’invisibile bagaglio che porta sulle spalle, che non si vede ad occhio nudo, ma c’è ed è pesante come i suoi anni. Una storia di passioni, di delusioni, di divertimenti e tristezze, nostalgia e amore per la vita. Una storia, forse, dalla trama uguale a tante altre, differenziata, però, dalle sfumature che ognuno decide di adottare per dare colore alla propria esistenza.
Stravagante non significa incompetente, come l’etichetta non è sinonimo di ricchezza.
Non tutti siamo dotati di buon gusto, ma cosa importa?
Il mondo è bello perché è vario(pinto!)
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