Quando Giorgio dice che è ora di vendemmiare è come se m’invitasse a una festa.
Una festa in cui si chiacchiera in continuazione, ci si sporca piacevolmente le mani e ci si spacca la schiena alla ricerca continua dei grappoli nascosti sotto le foglie.
Appena lasciata la strada provinciale e imboccata la stradina che sale velocemente verso il colmo della collina, si avverte subito il cambiamento di territorio: i colori sono i classici dell’autunno: ancora tante gradazioni di verde, ma già combinate a quelle del giallo, dell’arancione e del marrone.
Quando arriviamo, c’è Giorgio ad accoglierci nel cortile e ci saluta con il solito entusiasmo, tipico delle persone buone, appassionate della vita, nonostante i guai di tutti i giorni.
Io cerco subito la signora Bruna, la mamma, una donna tranquilla e solare, dalle mani d’oro e dai mille consigli. La trovo nella sua cucina, dove si percepisce già un profumino di arrosto, impegnata a preparare quello che sarà il nostro pranzo e so che, nonostante la raccomandazione di non esagerare, Bruna metterà in tavola delle leccornie preparate con gli ingredienti genuini che arrivano direttamente dal suo orto.
Giusto il tempo di infilare un paio di scarponi e raggiungo gli altri nella vigna. In realtà non so bene dove andare, non so da quale filare hanno deciso di iniziare; ma seguo le voci, che sono così animate da condurmi esattamente al punto di partenza. Lì trovo Renato e Claudio, i fratelli di Giorgio, il Beppe, un uomo di ottant’anni che ne dimostra venti di meno, al quale non piace vendemmiare, ma lo fa “solo per scambiare quattro chiacchiere…” ; il Franco, un vicino di casa sempre pronto ad aiutare, e l’ Angelica, la suocera di Renato. Tutti già armati di forbicine, secchio e buona volontà, pronti agli ordini del Giorgio.
Inizia così la vendemmia, un lavoro faticoso che, però, mi soddisfa come nessun’altro. Un lavoro in cui ci si sporca piacevolmente le mani, che diventano subito appiccicose e di color viola fin sotto alle unghie e ovunque ti tocchi o cerchi di grattarti, prende il colore del succo dell’uva matura; compresa la faccia perché i moscerini e le vespe oltre a suggere il dolcissimo nettare, infastidiscono anche il nostro lavoro. Si chiacchiera mentre si vendemmia; si racconta di questo e di quello; si parla di macchine vecchie che “van via come schegge” e macchine nuove sempre dal meccanico; si racconta di vacanze appena terminate e di bambini che hanno iniziato la scuola di recente. Ci si aiuta quando il secchio è pieno e va svuotato nel carro trainato dal trattore. E si ride. Si ride quando arrivano i bambini e cantano in inglese e corrono su e giù per i filari, con le gambettine nude e i piedini scalzi infilati negli stivaletti di gomma. Si ride perché l’atmosfera è gioviale e anche il mal di schiena, quando cerchi di raddrizzarti, non è poi così grave e ti fa sorridere comunque.
Tra un filare e l’altro, mi guardo intorno. I colori della collina mi fanno stare bene. La giornata è fosca e il paesaggio un po’ indistinto, annebbiato, velato di umidità. Fa ancora caldo. Il giardino, al margine del vigneto, è tinteggiato dai mille colori delle zinnie e delle dalie, dal viola intenso dei settembrini e dal rosso dei cinorrodi delle rose sfiorite; nell’orto, celato tra il verde ingiallito delle foglie, gioca a nascondino l’arancione delle zucche. La collina è una moltitudine di vigneti e frutteti a perdita d’occhio e, dalla cima, la vista si allarga in una prospettiva che mi lascia senza fiato. Sotto scorre il Po, bagna la pianura, tocca appena la città e riprende il suo corso snodandosi verso sud.
“Nelle giornate limpide – dice Renato- le montagne incorniciano l’intero paesaggio e da qui il Santuario di Oropa sembra essere a pochi chilometri di distanza; si vede la Cupola di Novara che svetta laggiù, nel centro della pianura e a volte, quando l’aria è leggera e il cielo limpido, si vede anche Milano.”
Arriva mezzogiorno in un battibaleno. Le uve sono state portate nella cantina e quelle “di troppo” sono state convogliate alla Cantina dei Colli di Crea. Bruna chiama tutti a raccolta. È un vero pranzo della festa, come avevo previsto, dall’antipasto al dolce, passando dalla frutta di stagione (mele e uva da tavola dal sapore delizioso); quindi caffé, dolcetto per accompagnare il caffé e un liquorino, sempre fatto da lei, come “ammazza-caffé”. E chi ha il coraggio di si muoversi da qui?!
Per fortuna la vendemmia è stata terminata prima di pranzo, perché con un carico così, chi avrebbe continuato a lavorare? Ci portiamo tutti nel cortile, sotto l’enorme castagno. Si chiacchiera ancora mentre qualcuno sonnecchia. Io ne approfitto dei consigli di Bruna, mi spiega due ricette veloci: quella del dolce che ha preparato per accompagnare il caffé e quella del liquorino fatto con le foglie di Limoncina. È un vulcano!
Quando partiamo per ritornare a casa, cerco di riempire gli occhi con quanto più io possa vedere; faccio una scorta d’immagini per quando dovrò contrastare le giornate malinconiche e ci salutiamo con la promessa di ritornare prima del freddo, a passeggiare lungo il crinale di quelle colline, a respirare una boccata d’aria buona, mentre il mosto nei tini, parlottando, si trasforma in ottimo vino.
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