Lo scorso anno scrissi un
racconto, ambientato in uno dei posti che ho più a cuore, il Lago d’Orta.
Una parte di questa storia, è
stata scritta mentre ero seduta sulla panchina dell’approdo di San Filiberto di
Pella, proprio come la protagonista che, pur non essendo io, mi assomiglia
molto.
Con questo scritto ho partecipato
al Premio letterario “IL VIANDANTE”, XI Edizione, 2014, non classificandomi tra i primi tre.
Le persone e i loro nomi sono
inventati; gli avvenimenti citati, se realmente accaduti, sono da ritenersi
assolutamente casuali.
Era una domenica di giugno. Una
coltre di nuvole velava il sole, la calura era fastidiosa.
Rimasta sola in quel fine
settimana, aveva deciso che la domenica l’avrebbe dedicata a se stessa. Aveva
voglia di fare due passi al lago e pensava che quel tipo di clima avrebbe
aggiunto un tocco di nostalgico romanticismo a quella giornata.
Si era vestita in fretta. Aveva
indossato una camicia azzurra sopra ai jeans e un paio di comodi sandali; aveva preso la sua borsa di
paglia e la macchina fotografica. Un velo di trucco ed era uscita di casa.
Senza programma. Non le capitava spesso di staccare la spina da lavoro e
famiglia e non poteva che esserne felice.
Aveva lasciato l’auto in una
località della riva occidentale, quella meno frequentata dai turisti, ma non
per questo la meno affascinante. Anzi: pensava che quella riva fosse più
attraente dell’altra perché, lungo le viuzze di quei paesi, s’incontravano solo
le persone del posto; addirittura i gatti, acciambellati sui zerbini davanti
alle case, si lasciavano accarezzare senza timore.
Era scesa a piedi fino al molo di
San Filiberto e, seduta su una panchina, aspettava l’arrivo del battello che
l’avrebbe portata sulla sponda orientale. Là si sarebbe mescolata alla massa
dei turisti.
Davanti a sé, le cime
incorniciavano il lago. Cime che, in quella stagione, mostravano tutta la
nudità della roccia e si specchiavano nelle acque calme disegnandone, a mano
mossa, tutti i contorni. Le conosceva una per una quelle cime. Le avrebbe
riconosciute anche ad occhi chiusi. Erano state mete di lunghe passeggiate,
tanti anni prima, quando la zia la invitava a passare l’estate nella sua casa
di Armeno e, insieme ai ragazzini del posto, andava alla scoperta dei sentieri
che portavano agli alpeggi circostanti.
Ah, che nostalgia della zia! Se
chiudeva gli occhi e tendeva l’orecchio, poteva sentirne ancora la voce e le risate.
Non seppe quantificare il tempo
passato su quella panchina, quando una voce la portò alla realtà.
- Signora…deve prendere il battello?
Un uomo le faceva cenno dal molo.
Era il conducente, in divisa blu e cappello da capitano, che stava allungando la
passerella per facilitare la salita ai passeggeri.
Si alzò di scatto. Con un salto
passò dal marciapiede al molo e salì sul battello. Prese posto sul ponte e
cominciò a scattare alcune foto.
La filodiffusione trasmetteva una
musica piacevole e si lasciò cullare da gradevoli ricordi. Tutto era
meraviglioso e si sentiva in pace con il mondo.
Toccarono la sponda dell’isola dove scese con una giovane coppia. Il capitano le strinse la mano prima di
scendere e, scambiandosi un rapido sguardo, si augurarono la buona
giornata. (Continua...)
Nessun commento:
Posta un commento