Quando si parla di fatti altrui,
siamo tutti con le orecchie tese per ascoltare, e non solo noi donne…
Screditiamo subito quella teoria
che ci accredita la curiosità come una qualità dispregiativa: la curiosità ci appartiene tanto quanto ne è colmo il
bagaglio maschile, altrimenti avremmo solo donne sagge e uomini ignoranti. Visto che il termine curiosità è sinonimo di desiderio
di sapere e di conoscere, e io interpreto il sapere ed il conoscere
come due pregi costruttivi, mi dissocio dall’ascoltare chi sostiene che “La curiosità
è femmina”.
Non aspettatevi, però, una
lezione filosofica da parte mia. Il motivo di questa mia “uscita” è solamente
legato al fatto che ho deciso di raccontarvi un po’ di fatti miei.
Sono giorni di solitudine, questi,
per me.
Gio è in viaggio con alcuni amici
sui sentieri del Mustang, una regione del Nepal appartenente all’area protetta
dell’Annapurna e confinante con il Tibet. Un viaggio che durerà ancora due
settimane, dove la possibilità di comunicare con chi è a casa è molto ridotta,
ma non impossibile. Un viaggio che, ne ho la certezza, lo riempirà di incredibili
immagini e di esperienze positive che si solidificheranno nel suo animo già
buono e vi rimarranno per parecchio tempo, come tanto lungo sarà il suo
raccontare una volta ritornato a casa.
Intanto la vita qui non è molto
diversa da prima che lui partisse. Faccio le solite cose con il vantaggio di andare
avanti ad oltranza fino a quando il buco della fame diventa ampio come una
voragine. Mi alzo presto al mattino e, siccome la casa non necessita di attenzioni
particolari per tenerla in ordine, mi dedico a ciò che più mi piace: leggo,
scrivo, a volte cucio, cucino per me stessa quel che mi passa per la testa e ho
addirittura riscoperto il piacere di disegnare.
Non sono mai stata una cima nel
disegno, ma mi è sempre piaciuto pasticciare con i colori.
Matite colorate, pastelli a cera,
acquerelli, pennarelli, tubetti di colori a tempera ormai rinsecchiti e album
vari di carta da disegno, sono rinvenuti durante la messa in ordine dello
studio e questo piccolo tesoro mi ha fatto ritornare la voglia di fare
qualcosa. Un po’ di anni fa, ho anche seguito un corso di acquerello, grazie al
quale ne sono usciti dei discreti lavori; non da mettere in mostra, per carità,
ma nemmeno così mostruosi d’aver vergogna solo a guardarli. Certo, io non sono
Matisse, ma con un po’ d’impegno potrei dargli del filo da torcere…
Dico così perché sono reduce di
una visita alla mostra di Matisse a Ferrara, dove ho capito soprattutto quanto questo
artista amasse ritrarre nudi di donna; ma non posso dire di esserne stata
“catturata”. Non ho apprezzato la sua pittura, ma, in fondo, non è che sia
partita da casa per andare a vedere la mostra di Matisse, per caso mi ci sono
imbattuta durante la visita di Palazzo dei Diamanti.
Lo scorso fine settimana,
allungato dalla festività del 25 aprile, sono stata appunto a Ferrara. Con gli amici di sempre ho
trascorso tre giorni da turista con un programma fitto-fitto di cose da vedere,
il tutto addolcito da piacevoli momenti di risate che non guastano mai.
Ferrara era già stata meta,
qualche tempo fa, di ben due fine settimana con Gio, trascorsi in periodi
diversi, uno in primavera e l’altro in autunno. In quelle occasioni ci eravamo
portati appresso le biciclette e avevamo girato la città con tutta
tranquillità, perché a Ferrara è un po’ come essere in Olanda, dove con la
bicicletta si va dappertutto, anche al ristorante, di sera, con il tacco 12!
Mi era rimasta nel cuore. Mi
erano piaciute le sue Mura che hanno mantenuto pressoché intatto il loro
aspetto originario nel corso dei secoli e che, per ben 9 chilometri , cingono il
centro storico.
Mi era piaciuto il Castello Estense con le sue quattro
torri e il fossato colmo d’acqua che lo rende ancor oggi uno degli ultimi
castelli europei circondato da un fossato.
Mi era piaciuto il Palazzo dei Diamanti, uno dei monumenti
più celebri del Rinascimento italiano, ricco di storia e caratteristico per il
bugnato esterno a forma di punte di diamante, da cui il nome del palazzo.
Mi era piaciuta una libreria in
centro colma di libri dal caratteristico profumo di carta. E mi era piaciuto il
dolce ed il salato della cucina ferrarese.
Mi ero ripromessa, quindi, di ritornarci.
La città che mi aveva messa in completa libertà, meritava un mio ritorno. E così è stato.
Ferrara non mi delude mai. L’aria
leggera che vi si respira nei “salottini” del centro è così rilassante che è
quasi impossibile pensare che, in quella città, esistano persone con i problemi
di tutti i giorni.
È vero, tirava aria di festa in
questi giorni; ma ricordo che anche in passato avevo avuto la medesima
impressione.
Ho camminato parecchio. Il clima
è stato meraviglioso, a volte anche fin troppo caldo per i miei gusti. Di sera,
ritornare in camera per una doccia prima di uscire a cena, era tra i momenti
più ambiti della giornata e toccare il letto, dopo l’ennesima camminata per le
vie del centro, significava abbandonarsi all'istante nell’abbraccio di Morfeo,
non prima, però, d’aver gettato un occhio sui tetti della città. Dormivo,
infatti, con due amiche in un’ampia camera nel sottotetto di un palazzo, con un’intera
parete a vetri, oscurata da pesanti tende, che si affacciava sulla città, in
una zona tranquilla e strategica, a pochi minuti dal centro storico.
Al mattino era bello svegliarsi
con le prime luci dell’alba, perché a noi di oscurare l’ambiente con le tende
non piaceva. E dopo una doccia veloce, si andava a fare colazione in una
pasticceria lì vicino, dove era possibile assaggiare ogni ben-di-dio.
L’ultimo giorno, da Ferrara ci
siamo spostati a Comacchio, la
principale città lagunare del Delta del Po. È un piccolo centro che nasce e
vive tra terra e acqua, il cui simbolo è il celebre Trepponti, una singolare invenzione architettonica del 1634,
edificato a un incrocio di canali che dividono la cittadina in 13 isolette,
ragione per la quale Comacchio è denominata la
piccola Venezia.
È bello camminare lungo i canali
(non protetti…) e curiosare nei piccoli negozi alla ricerca di qualcosa di
caratteristico; e poi sedersi a tavola, sulla terrazza di un ristorantino, ad
assaporare un piatto tipico, principalmente di pesce d’acqua dolce o salata.
Prima di prendere la strada del
ritorno, ci siamo spinti fino all’Abbazia
benedettina di Pomposa, con il suo campanile, quasi millenario, alto,
solitario ed austero, riconoscibile da lontano ad indicare la posizione, fra i
campi di bonifica, accanto alla strada Romea.
Cosa dire… quando si ritorna da
una bella vacanza, ben breve che possa essere, si è sempre un po’ nostalgici e
si ripercorrono i momenti più belli, i più divertenti e i più rilevanti per
prolungare quel senso di benessere che una vacanza lascia, sebbene i ritmi non
fossero proprio tra i più tranquilli.
E adesso, dopo il cambio di valigia,
sono pronta a ripartire ancora, questa volta per il mare.
Nessun programma, vivo alla giornata cogliendo
l’attimo. Sole o pioggia che sia, sono ben equipaggiata.
Ho voglia di lunghe
passeggiate lungo la spiaggia; di momenti in cui stare sola a pensare; di
letture rilassanti in riva al mare; di serate con altri amici.
E ho voglia ancora
di risate. Tantissime risate.