Non saprei dire quanti anni
avessi quando iniziai a tenere in mano un ago per cucire. Ero piccola, sette,
otto anni, credo. Ricordo che, per l’occasione, la mamma mi comperò un ditale che avevo preteso, come
ogni sartina, degna di portare questo nome, pretendeva di averne uno.
Sono cresciuta in mezzo a donne
che ogni giorno lavoravano a qualcosa. Chi imbastiva una gonna, chi attaccava i
bottoni ad una camicia, chi sferruzzava con gli aghi da maglia, chi lavorava
all’uncinetto e chi ricamava. Una volta non era un vezzo da “dive stressate”,
era una necessità e io ho avuto la fortuna di avere la mamma che amava cucirmi
i vestiti, le nonne che sferruzzavano a maglia e all’uncinetto e la zia
camiciaia che ancor oggi, solo per noi di famiglia, cuce ancora delle
meravigliose camicie da fare invidia ai migliori stilisti. Già…noi “Porzietti” siamo
nati con la camicia! (guardate qui...).
Dall'album di famiglia: da sinistra, io, Massimo, Tiziano, Franco, Massimiliano. Alle spalle, la zia Gian Paola - 1972 |
Era “ovvio” che anch’io imparassi
a fare qualcosa del genere. Il mio istinto da bambina mi aveva suggerito un
ditale, pertanto la strada da seguire era quella dell’ago da cucito.
La mamma, come primo lavoretto,
mi aveva insegnato a fare il punto croce e poi il mezzo punto. Non so quanti
quadretti avessi fatto prima di farmi venire la nausea!
E il coniglietto, e l’orsetto, ed
il pesce, e la bambina con la bambola…e bastaaa! Non ne potevo più. Mia nonna
stessa, un giorno, ebbe uno slancio di generosità e si prestò a finire il mio
quadretto pur di non vedermi più con quel modo annoiato che assumevo quando mi
si faceva fare qualcosa contro voglia. Avevo voluto il ditale, d’accordo,
ma non il mezzo punto!
Iniziai così a cucire avanzi di
stoffa direttamente sulla mia Barbie; ma erano abiti poco pratici, bisognava
scucirli ogni volta per toglierli e ricucirli per metterli. Un Natale Gesù
Bambino mi portò una macchina da cucire di plastica, ma con l’ago vero e da allora la confezione migliorò notevolmente.
Verso i 15 anni decisi che avrei
passato l’estate ad aiutare Angela Tognoni, un’amica della mamma che faceva la
sarta di professione. È stato uno dei periodi più belli della mia adolescenza.
Angela mi insegnò tutti i punti a mano impiegati nel settore sartoriale e poi
ad usare una vera macchina da cucire elettrica! Non ricevevo nessuna paghetta,
ma in cambio potevo cucirmi quel che volevo. Era fantastico.
Angela era una sarta coi fiocchi.
Confezionava dalla gonna al cappotto con una tale abilità che ogni capo finito
sembrava essere destinato ad una sfilata di moda. Mi piaceva lavorare con lei. Era
sempre allegra, simpatica, mi faceva ridere raccontandomi degli aneddoti di
quando aveva frequentato l’Istituto Secoli a Milano.
Sarebbe piaciuto anche a me
frequentare quella scuola, ma mi fermai appena dopo l’attestato di modellista.
In famiglia era successo un evento spiacevole e lasciai l’idea di proseguire
per quella strada.
Mi è sempre piaciuto annusare le
stoffe, sentirne il profumo, la morbidezza della loro carezza. Mi piaceva curiosare
nelle varie scatole di fili, nastri, fettucce e sbiechi. Ma era soprattutto in
quella dei bottoni che mi ci perdevo senza rendermene conto! Ancora adesso per
i bottoni potrei spendere una cifra senza ragione.
Che peccato aver cambiato strada!
Chissà dove sarei ora, se avessi seguito quel mio piccolo ditale che proprio
qualche giorno fa è ritornato in scena.
Come al solito, quando si tenta
di trovare qualcosa, salta fuori di tutto, tranne quel che si cerca. In una
scatoletta di metallo, di una marca di mentine che non sapevo più della sua
esistenza, insieme a vecchi bottoni, gancetti per la chiusura delle gonne,
spille da balia e vecchi ganci per reggere le calze, ecco, infilati uno dentro l’altro,
quattro ditali di tre generazioni: quello delle mie due nonne, quello della
mamma ed infine, quel mio piccolo ditale di ottone di cui ne andavo così fiera
da farmi diventare il dito “cotto” e annerito per il contatto del metallo con
il sudore. Un ditale piccolino che adesso non riesce a coprire nemmeno la punta
del mio dito mignolo. Ma quanti ricordi contiene questo piccolo strumento! Anche
lui, nel tempo in cui, forse, non esiste più un ditale per manine piccoline, ha
saputo raccontare la sua storia.
sono convinta che le passioni che nascondiamo dentro di noi , prima o poi, saltano, con prepotenza, fuori! troppa energia chiusa da un tappo di "circostanze" fermenta e poi ...il tappo salta e volano ditali, fili, forbici, stoffe e bottoni meravigliosi! e tu sarai lì pronta ad afferrare tutto al volo iniziando a creare quello che da troppo tempo hai solo sognato....ti abbraccio cara. a presto.
RispondiEliminaA volte anche le parole sono lì, che non sanno come uscire; poi arriva un'amica, ti lascia scritto un messaggio e in quattro righe quelle parole volano dritte al cuore. Robi, grazie davvero.
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