Quando si ritorna a casa, preparare la valigia è un’operazione che costa meno di un quarto d’ora di tempo. Non c’è scelta né indecisione: l’armadio va interamente svuotato e poco conta se i vestiti non vengono disposti con ordine, tanto una volta a casa, tutto va messo in lavatrice e tanti auguri per chi stira!!!
Quando si lascia l’albergo, c’è sempre un po’ di rincrescimento; vuoi perché è segno della fine della vacanza, vuoi perché è così facile abituarsi alla bella vita, insomma lasciamo l’albergo felici e scontenti. Felici perché siamo stati davvero molto bene e scontenti perché tale manna è finita.
Partiamo per la volta di Trieste. È mattina presto e fa già un caldo insopportabile. Per fortuna la vicinanza del mare ci omaggia di un po’ di brezza, ma tale grazia dura poco.
Visitiamo la città senza entrare nei particolari. No musei, no chiese. Attraversiamo Piazza Unità d’Italia luminosa e bellissima grazie ai palazzi che la circondano che fanno da contrasto con l’azzurro intenso di un cielo così terso da confonderne l’orizzonte con il mare. Il tempo di scattare alcune foto e subito ritorniamo a “marcare l’ombra”. Il sole a picco sembra trapanarmi la testa. La città meriterebbe di una visita un po’ più dettagliata; invece girovaghiamo qua e là in cerca dei punti meno esposti al sole. Consultiamo la piantina della città puntando il dito sulla zona verde alle spalle di piazza Unità d’Italia e, superando l’Antico Teatro Romano, i cui resti, lasciati lì in mezzo ai palazzi di recente data, sembrano interessare a nessuno: la gente passa e punta al supermercato collocato appena lì di fianco.
Dopo un’interminabile salita e una scalinata altrettanto impegnativa, eccoci nella parte alta della città. Qui gli spruzzi di una fontana ci regalano un po’ di frescura e gli alberi del Parco della Rimembranza ci invitano ad una meritata sosta all’ombra. Si gode di un eccellente panorama sull’entroterra triestino; per la vista mare sarebbe l’ideale poter entrare nel Castello di San Giusto, ma è naturalmente chiuso.
Scendiamo nuovamente verso Piazza Unità d’Italia, dove avevamo adocchiato alcune bancarelle di un mercatino di artigiani locali (non hobbisti, ma artigiani coi fiocchi). C’è chi espone lampade e bruciatori d’essenze in terracotta, sotto forma di strane casette; chi mette in bella vista pietre e sassi magistralmente dipinti sottoforma di graziosi musetti di gatti, conigli e…rane (un po’ meno carini questi ultimi, per la verità, ma l’impressione è strettamente personaleJ); poi ancora lavoretti femminili fatti all’uncinetto; cornici in legno rivestite in foglia d’oro; chi espone lavori in tessere di vetro, dai cache pot per contenere piccole piantine grasse ai ciondoli fatti a forma di barchetta a vela; c’è poi chi, lavorando con sottili fili d’argento e rame ha dato vita ad un’eccellente serie di bijoux. Giriamo tra le bancarelle saltando di ombrellone in ombrellone per cercare l’ombra. Il caldo si fa sentire sempre più cocente; l’impressione è quella di avere un phon per capelli alla massima potenza, puntato in faccia: sarebbe da incoscienti vagabondare per la città senza una meta, in tali condizioni.
Così lasciamo Trieste per ritornare verso Monfalcone dove in prossimità della Basilica di San Giovanni in Tuba, il fiume Timavo rivede la luce dopo 35 chilometri di percorso sotterraneo. È considerato uno dei più interessanti fenomeni carsici. Il Timavo infatti, nasce in Croazia a pochi chilometri dal confine sloveno, attraversa il Carso per circa novanta chilometri, si inabissa alle Grotte di San Canziano in Slovenia e riemerge qui a San Giovanni di Duino.
L’ambiente tutt’intorno è verdissimo: alberi giganteschi di Pioppo Bianco, le cui altezze sovrastano la basilica, offrono ombra e un po’ di frescura. Appena dietro la chiesa, una zona di stagni dalle acque limpide e verdi è il regno di rane e bisce d’acqua…meglio starne alla larga, anche se non resisto dal fare qualche foto…alle acque, s’intende.
Il posto meriterebbe una sosta-pediluvio, ma abbiamo in programma di visitare anche Aquileia prima di rimetterci in viaggio verso casa.
All’unanimità decidiamo di tralasciare tutta la parte dedicata agli scavi romani esterni, sarebbe come decidere di mettere la testa nel forno microonde e limitiamo la visita alla basilica e al piccolo cimitero militare datato 1915.
Quando arriviamo nei pressi della basilica, troviamo parecchia gente “in attesa” di qualcosa, ma non si capisce bene di cosa. Ben presto, l’arrivo di un carro funebre, ne spiega il motivo. La chiesa viene chiusa alle visite (e ci mancherebbe!) e nell’attesa che termini il funerale, visitiamo i mosaici di recente restauro.
Ancora una volta il caldo ci costringe ad una pausa alla ricerca di un po’ di fresco. È d’obbligo a questo punto una sosta-gelato e perché no, una visitina ad un grazioso negozietto di souvenir, La Casa di Margot, dove adocchio alcune cosette interessanti.
Il funerale finisce e finalmente abbiamo accesso alla basilica. Io, però, devo bardarmi con dei teli per coprire le spalle e le gambe, i miei bermuda e la mia maglietta senza maniche (non è una canotta!) non sono ammessi, potrei scandalizzare qualcuno. Mi sento una pastorella del presepe, messa così davvero sono l’attrazione dei turisti: mi fissano e sorridono; infatti mi guardo intorno e scopro che una donna con dei pantaloncini ben più corti dei miei, con le natiche quasi al vento, gironzola tra le navate della chiesa con nonchalance…Sento salirmi la pressione, mi arrabbio e liberandomi di tutto l’ambaradan, esco con stizza dalla chiesa. Sono furente: queste regole o le fanno seguire a tutti, o ne facciano a meno! Stanno lì a guardare i centimetri di pelle scoperta e non si accorgono di chi accende le candele senza nemmeno fare un’offerta. È scandaloso, ho visto anche questo! Il mio abbigliamento non era assolutamente fuori luogo, non mi sarebbe mai balenata l’idea di entrare in chiesa se avessi ritenuto che il mio abbigliamento fosse stato inopportuno!
Il Cimitero degli Eroi è di grande impatto emotivo. Le croci in ferro battuto sono disposte su più file, tutte uguali e ben ordinate. L’Angelo della Carità, una scultura bronzea che rappresenta un soldato morente sostenuto da una figura femminile è talmente reale che mi commuove ed è impossibile non fare una sosta meditativa davanti al Monumento dei dieci Militi Ignoti, dove ai suoi piedi, fu sepolta, per volontà della medesima, Maria Bergamas, la madre triestina che scelse la salma dell’undicesimo Milite Ignoto traslato all’Altare della Patria a Roma.
I cimiteri militari sono luoghi meditativi: ogni tanto farvi una visita serve a ricordare di quale fortuna stringiamo tra le mani, noi che di guerra ne abbiamo sempre sentito solo parlare e viste alcune immagini...
Partiamo da Aquileia non prima d’essere passati dalla fontana pubblica: acqua freschissima da bere, acqua fresca da smorzare i fumi della rabbia…
Il tempo del rientro non ha superato i limiti di quello dell’andata. Nonostante il traffico ed il formarsi della coda in alcuni punti, dopo circa sei ore respiriamo aria di casa.
Ogni luogo che mi ospita anche solo per una breve vacanza, mi lascia sempre qualcosa di piacevole da ricordare. La spensieratezza dei giorni trascorsi con calma, una risata, una foto, un termine dialettale: ognuna di queste cose, anche se al momento in cui le ho vissute non vi ho fatto molto caso, una volta finita la vacanza, ritornano in mente e mi fanno sorridere.
Ecco qual è la vera medicina per alleggerire le mie prossime solite giornate.
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