Coltivava i fiori con lo stesso amore con cui cresceva i suoi figli.
I fiori l’avevano fatta innamorare e per loro nutriva un sentimento di vera passione perchè ognuno la riportava con la memoria ad un momento della sua vita. Momenti belli e spensierati e momenti tristi, secondo i dettami del tempo che, inesorabilmente, le accarezzavano il viso. Nonostante ciò, li curava tutti, indistintamente, come fossero bambini bisognosi di tenerezza.
Anemoni, Bucaneve, Crochi e Margheritine. Primule, Giacinti, Violette e Viole del Pensiero. Narcisi, Tulipani, Camelie, Azalee, Gladioli, Giaggioli, Gigli, Fresie. E poi ancora, Calle, Gerani, Petunie, Dalie; ma anche Fiori di Lillà, Edere, Agrifogli, Gelsomini e Oleandri: ognuno aveva il suo posto in quel suo giardino dai mille colori, in ogni stagione. Li aveva seminati con accortezza, studiandone il periodo di fioritura, così che avesse sempre un fiore a cui sorridere.
Quando finiva di riordinare la casa e, comunque, appena aveva un momento tutto per sé, non era difficile vederla chinata in mezzo al verde; addirittura, quando rientrava dopo una giornata di lavoro, passava alcuni minuti tra i suoi fiori, ancora prima di andare a cercare i suoi bambini. Era come se ricaricasse le sue energie prima di dedicarsi ad altro. Ed era proprio così.
Le Rose in estate e gli Ellebori d’inverno erano i suoi preferiti. Aveva piantato rose lungo il vialetto che dal cancello portava all’ingresso di casa. Rose rosse, rose rosa, bianche e gialle e una volta aveva azzardato a piantarne una blu. L’aveva vista su un catalogo e, scettica, la fece arrivare; ma sapeva bene che quella rosa blu si sarebbe scolorita col passare del tempo. E così fu, fino a diventare color lillà.
Aveva il potere di far crescere un cespuglio di rose da un semplice rametto reciso e quelle rose la ricambiavano di tutte le sue cure, fiorendo belle e robuste fino al tardo autunno.
Dall’ultima Rosa al primo fiore di Elleboro non passavano mai troppi giorni e in quel periodo, quando le aiuole del giardino erano pressoché un cumulo di foglie rinsecchite, si riempiva gli occhi dello splendore dei fiori di alcune tra le piante grasse che coabitavano l’appartamento. Le sue, erano davvero piante grasse: ciccione e succulente, sembravano seguire un regime particolare; invece nessuna cura specifica e, soprattutto, nessun concime chimico: solo acqua, luce e l’affetto che elargiva a tutte le sue piante.
Quando fiorivano gli Ellebori davanti a casa, in un’aiuola esposta al sole, contrariamente alla loro collocazione ideale, da lontano sembrava che qualcuno avesse dimenticato un cuscino tra l’erba. I fiori bianchi striati di rosa erano tantissimi, sembrava impossibile che una pianta producesse una quantità così numerosa di fiori. Il trucco era proprio quello di non “disturbare” le piante.
Lei era così. Si faceva voler bene da tutti perché con tutti aveva una parola buona da dire. Senza essere invadente, seguendo la regola del rispetto altrui; e così faceva anche con i fiori e le piante, che crescevano addirittura contro natura, o troppo esposte al sole o troppo in ombra.
In questi giorni l’Elleboro sta dando il massimo della sua fioritura, come ogni anno. Lei gli passa accanto e, sorridente, gli allunga una mano, ma non arriva a toccarlo. La sua instabilità potrebbe farla cadere; così si limita ad accarezzare quei meravigliosi fiori solo con la forza del pensiero. So che è così, non potrebbe essere altrimenti. Cos’altro potrebbe procurare, in quel momento, nello sguardo di mia madre, tanta serenità, se non l’amore incondizionato per le sue amate piante?
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